Un uomo si fa assumere in un manicomio con la speranza di liberare la moglie che è internata nella struttura, ma si ritrova intrappolato in un incubo… Questo film è un capolavoro dell'avanguardia cinematografica giapponese della prima metà del Novecento. Creduto perduto per quarantacinque anni, fu ritrovato per caso dallo stesso regista e fu diffuso nel 1971. Visivamente impressionante (con ampio uso di sovrimpressioni, distorsioni e altri effetti ottici per rendere sullo schermo la percezione deformata del mondo da parte dei pazienti psichiatrici), con una fotografia che gioca con luci e ombre, una macchina da presa estremamente mobile e un mood che oscilla in continuazione fra percezioni oggettive e soggettive, fra il surreale-onirico e la realtà tragica e concreta, il film reca con sé un'impronta di incredibile modernità e rappresenta un'esperienza visiva senza pari, una sorta di "Caligari" orientale, se possibile ancora più sofferto ed espressivo. Memorabile l'incipit notturno con la pioggia, la "rivolta" dei pazienti in preda all'entusiasmo per la performance della danzatrice, e naturalmente la scena altamente metaforica delle maschere nel finale! |